Negli ultimi anni l’odontoiatria ha introdotto grazie all’illuminazione di molti colleghi nuovi protocolli per la semplificazione delle procedure per il guadagno o l’incremento del volume osseo nei casi in cui la disponibilità di questo tessuto sia insufficiente per il posizionamento degli impianti.
Lo scopo di questa sezione non è quello di descriverle tutte, né tantomeno di entrare nel merito tecnico/chirurgico delle varie metodiche, bensì di fornire ai lettori una base di comprensione alla quale fare riferimento ed orientarsi laddove in passato era stata negata la possibilità di ripristinare denti fissi in arcata.
Innanzi tutto parleremo del caso in cui il sito in questione contiene ancora il suo dente che per un motivo o per l’altro sia circondato da una nuvola infettiva/infiammatoria, sia ormai irrecuperabile e sia quindi stato giudicato dal dentista ” da estrarre “.
Mentre in passato la procedura ritenuta più corretta fosse quella di estrarre, rimuovere i tessuti prodotti dall’infezione ed attendere la guarigione, oggi si può praticare la tecnica dell’inibizione periostale ( Dr. A.Grassi) .
All’estrazione, come sappiamo consegue fisiologicamente un riassorbimento osseo ed un rimodellamento della nostra anatomia che genera atrofia.
L’inibizione periostale sfrutta il tessuto infiammatorio che non viene rimosso ma opportunamente spostato ed il sito viene riempito con materiale di innesto. Dopo una guarigione di 4, 5 ,6 mesi il sito sarà pronto senza aver subito rimodellamento in senso negativo, anzi avrà guadagnato millimetri preziosi per la riabilitazione implantare.
Unitamente a questa vera e propria rivoluzione, ne abbiamo avuta un altra in termine di biomateriali, ovvero ” l’osso da innestare”.
L’osso migliore da innestare è e sarà sempre quello del paziente ma questo implica la partecipazione di un sito donatore e quindi una ulteriore “ferita chirurgica” da praticare nella sede di prelievo.
Per ovviare a questa ulteriore complicazione vengono utilizzati in soccorso preparati di derivazione animale ( suina o bovina ) debitamente deantigenati, sterilizzati e deproteinizzati del produttore ; questo fa si che la parte organica a disposizione del sito ricevente non possa essere presente nel preparato con notevole difficoltà da parte dell’organismo nella fase di sostituzione da osso esterno ad osso del paziente ad opera delle cellule deputate.
Questo limite viene confermato dai campioni istologici prelevati intorno agli impianti circondati da questo osso che mostrano a distanza di anni, inglobati dei grani di tessuto non sostituito e che pertanto si comportano da riempitivi metabolicamente e funzionalmente inerti.
Sappiamo, pur dovendolo accettare che tutto ciò è imperfetto e rende il sistema dente-osso che abbiamo creato un qualcosa che puo’ essere definito “incognita” per la sopravvivenza a breve medio o lungo termine dei nostri impianti.
Nel frattempo la stessa istologia, ci ha ricordato che la sostanza biologica del dente e dell’ osso e’ sostanzialmente la stessa, e che la parte proteica contiene componenti fondamentali per ra crescita di nuovo osso; queste proteine, definite generalmente morfogenetiche possono partecipare alla rigenerazione veicolate dai granuli di dente macinato da una nuova macchina, il “tooth transformer” (TT).
Il TT macina il dente del paziente ad una granulometria controllata per permettere la formazione di nuovi vasi sanguigni ( angiogenesi ), depura i granuli con metodo chimico-fisico e fornisce al chirurgo orale un materiale da innesto superlativo che nei preparati istologici carotati su siti innestati ha dimostrato trasformazione del dente in vero osso del paziente a tutti gli effetti.
Molto spesso, l’inibizione periostale, il TT, l’implantologia computer guidata e la tecnica “bonebender” di cui parleremo ampiamente possono essere integrate in un solo tempo chirurgico.
ecco alcuni casi clinici
Caso clinico 1
Caso ultimato. Dopo una tempesta infettiva che aveva devastato il sito dell’elemento 14. il dente è tornato al suo posto in poco meno di 4 mesi.
Rientro a 14 settimane e protesizzazione. Caso terminato, il tutto è stato ottenuto in un solo tempo chirurgico.
Caso clinico 2
Paziente donna 65 anni, si presenta con una frossa lesione osteolitica ad origine endodontica con forte componente parodontale e mobilità di grado 3 ( fig 1).Viene tentato il recupero con approccio endodontico, ma dopo più di due mesi la lesione sebbene ridotta, permaneva con dolore e drenaggio.
Si procede all’intervento di estrazione con procedura di inibizione periostale . l’elemento estratto viene introdotto nel tooth transformer ( fig 4.) ed in pochi minuti si ottiene il biomateriale per il riempimento del difetto. Il tutto viene protetto da membrana in collagene e chiuso per prima intezione.
dopo 12 settimane il sito è pronto per la progettazione e la realizzazione della dima chirurgica e l’intervento.
e dopo ulteriori 12 settimane ecco il risultato. ottenimento di rigenerazione ossea verticale, integrazione dell’impianto e corona.
Si noti nell’immagine in basso la progressione nel tempo zero e dopo sei mesi e la buona salute gengivale di tutto il settore .